lunedì 22 marzo 2010

LA NOTTE DELLE FATE





Il 60° Festival della canzone italiana si è da poco concluso in modo sconclusionato, con vincitori perdenti e ultimi arrivati vincenti, senza di certo rendere omaggio alla musica dell'Italia ed alla voce dei suoi validi cantori.
Non intendo dilungarmi sulla critica ai cantanti che vi hanno partecipato, sulla pilotazione scorretta ai televoti e sui testi vuoti di spessore di alcune canzoni, anche se c'è stato materiale in abbondanza.
Per me il vincitore è Enrico Ruggeri. Appena ho ascoltato la sua canzone, La notte delle fate, sono rimasta subito colpita piacevolmente: ho sentito degli accordi musicali armoniosi e delle note inserite ad effetto nei punti di svolta, che muovevano un profondo corpo di parole. Il mio orecchio ha percepito immediatamente una raffinata armonia di suoni, intervallata con criterio da caldi assaggi di rock, mentre il mio cervello ha colto un logico collegamento di frasi incentrate su dinamiche relazionali che hanno come protagoniste figure femminili.
Sono proprio le relazioni, infatti, i rapporti con gli altri, con la gente, col collega di lavoro, con i familiari, con il fidanzato, con gli amici, con i conoscenti e con gli sconosciuti, che necessitano di revisione, più che mai nell'odierna società. Non si può più “far finta di”, non si può più guardare oltre o chiudersi in se stessi, allontanandoci da tutto e da tutti, combattendo e soffrendo da soli per i nostri problemi, senza riconoscere davvero le nostre e le altrui capacità d'aiuto.
Ruggeri, cantando questo testo con sentimento, ragionevolezza, padronanza vocalica, capacità interpretativa ed intento didattico-divulgativo, sa ben mettere sotto ai riflettori mediatici un tema spesso oscurato o poco approfondito come quello della sofferenza provata dalle donne. Una sofferenza figlia di ingiustizie, soprusi, disuguaglianze, violenze, dolori fisici e morali che indeboliscono, disorientano ed affliggono ragazze, mogli e madri di famiglia, costringendole spesso ad abbandonare sogni, a chiudersi in se stesse ed a vedere intorno soltanto il buio.
La notte delle fate, però, ci ricorda che nulla è perduto, che esistono ancora le luci della speranza e della dritta via, che la libertà può tornare ad essere un diritto effettivo e che le favole possono avverarsi. Ecco allora che le donne, almeno per una notte, acquistano le sembianze di fate, vivendo la magia di sentirsi nuovamente forti eppure leggiadre, tenaci eppure sospese in aria, adulte eppure bambine.
La trascrizione a seguire di una parte del brano musicale in forma poetica, secondo me aiuta a riflettere meglio sull'argomento in questione, rivalutandone con calma il significato delle parole e ripensando quindi alla canzone nel suo insieme.


(…) Ognuno sente tanto dolore quando si piega in sè
E non vede niente
Poi una luce passa le inferriate
La notte delle fate

Ogni donna ha un paio d’ali chiuse dentro sè
E sogna ancora vette inesplorate
La notte delle fate

Ogni donna ha un paio d’ali chiuse dentro sè
Pronta a certe ascese sconfinate (...)