domenica 31 agosto 2014

IL MARCIAPIEDE (IL MARCIA PIEDE) Racconto per bambini

In una sera di fine estate, mentre il sole era già andato a dormire da un po', le ombre si allungavano su tutta una città industriale. Come trampolieri altissimi, sospesi tra cielo e terra, come alberi dal tronco slanciato e come torri d'avvistamento dei castelli medievali, così le ombre scure dei palazzi, delle aziende e degli altri edifici a più piani dominavano la città. Erano queste le immagini che il piccolo Dario osservava con stupore dalla finestra della sua cameretta, dopo che il boato di un tuono lo aveva svegliato dal beato tepore dei suoi teneri sogni. Il silenzio del sonno veniva sostituito anche da altri rumori della notte, perché alcune industrie continuavano a produrre, i camion viaggiavano ed altri mezzi di trasporto non smettevano di circolare. Dario, fino a quella sera, aveva conosciuto soltanto il mondo del giorno, fatto di luce, azzurro del cielo, bianco delle nuvole e verde dei pochi fili d'erba cresciuti nel parco pubblico vicino alla sua casa. Aveva sempre ascoltato, inoltre, suoni allegri: del carillon, delle sigle dei cartoni animati, dei gatti giocherelloni e delle romantiche canzoni fischiettate dalla mamma. Ora, invece, quando si percepiva in lontananza lo scoccare di cinque spaventosi rintocchi di campana, che sembravano assegnare il ritmo alla danza della pioggia, una sveglia cominciò a suonare in maniera metallica dalla camera dei genitori di Dario: era il segnale che il babbo doveva alzarsi per andare a lavoro. Anche un altro uomo, grande come il babbo, stava lavorando sulla strada davanti alla casa di Dario. Sceso da un furgoncino e vestito da capo a piedi con una tuta che colorava la notte, stava spazzando con calma la via ed una striscia grigia di lato. Senza pensarci un secondo, dato che ormai l'alba stava aprendo sempre più gli occhi di Dario, il bambino chiese direttamente all'operatore ecologico: << Ciao, cosa stai facendo? >>. L'uomo, dal fisico esile e dall'espressione bonaria, sentendo questa voce solitaria avvolta dalla nebbia della prima mattina, rimase un attimo meravigliato. Aveva capito bene o doveva ancora svegliarsi completamente? << Ehi, signore, che fai? Sono qua! >> ripetè Dario con tono squillante. Lo spazzino Arturo, a questo punto, non aveva più dubbi: aveva capito proprio bene. Volse la testa verso il bambino che lo aveva chiamato e che ora, affacciato ad una finestra di un secondo piano, a pochi metri da lui, gli stava sorridendo. << Ciao, buongiorno! Sei mattiniero, eh? Sto pulendo le strade, perché questo è il mio lavoro. >> gli rispose compiaciuto Arturo. << Non sono più riuscito ad addormentarmi, da quando è cominciato a piovere, però sono contento perché ho imparato una cosa nuova: che esiste anche il tuo lavoro. Ti diverti a farlo? >> << Eh eh! Dire che mi diverto è esagerato, ma sicuramente questo è un lavoro che mi piace, perché rendo più bella e pulita la città. Sto all'aria aperta e mi godo un po' di tranquillità, prima che la città venga invasa dalla marea di lavoratori agitati. >> << Allora pulisci le vie come mamma pulisce la nostra casa? >> continuava a chiedere con interesse Dario. << Esatto, è la stessa cosa! Come ognuno di noi è contento di abitare in una casa pulita e profumata, così si dovrebbe avere cura degli spazi pubblici, che sono di tutti, invece ogni volta che riprendo il lavoro aumenta lo sporco per terra, tra sacchetti della spazzatura, lattine e pacchetti di sigarette. >> Arturo spazzava, raccoglieva lo sporco e trasmetteva insegnamenti di vita al bambino. << E' vero! E poi è facile da fare, perché se si sporca meno, si pulisce anche meno. >> Dario, entusiasta, aveva gli occhi sgranati sull'operatore ecologico e sui loro ragionamenti. << Senti, ma cos'è codesta striscia grigia di lato? >> << Questa? E' il marciapiede! >> << Il marcia che? >> proseguì il bimbo, che non aveva mai sentito quel nome. << Il marciapiede! E' una striscia di cemento rialzata da terra sulla quale si cammina, mentre per la strada passano bici, auto, motori. Si chiama proprio “marciapiede” perché sopra ci marcia il piede, ci si muovono i piedi, insomma: ci camminano le persone, al sicuro dai mezzi di trasporto. >> Arturo, che aveva iniziato meglio del solito la mattina lavorativa, felice di dare spiegazioni al piccolo Dario, era giunto al termine di Via Dei Ciliegi. << Ho capito! Marciapiede perché ci marcia il piede! Marcia piede, marcia piede! >> esclamava con la gioia della nuova scoperta il bambino. Intanto, in casa, il babbo di Dario, che era pronto per andare a lavoro, si accorse che il figlio era sveglio. Bussò alla porta della sua camera e, dopo il “ Vieni, babbo!”, lo vide raggiante alla finestra. << Stamani sei già sveglio? Tutto bene, Dario? >> gli domandò un po' stupito. << Sì sì, babbo, sto benissimo! Grazie allo spazzino che ci pulisce le strade, ora ti accompagno alla fermata dell'autobus. >> << Ti ha messo subito a lavoro? >> << No, ma mi ha fatto capire tante cose e mi ha insegnato una parola nuova: marciapiede. Siccome stamani ho scoperto cos'è la striscia grigia di lato alla strada ed a cosa serve, ho deciso di venire con te, camminando per tutto il marciapiede che da qui arriva fino alla fermata dell'autobus! >> disse soddisfatto il bimbo. Dopo alcuni secondi, Dario e suo padre si tenevano stretti per mano, felici e contenti di camminare sul marciapiede di Via Dei Ciliegi, mentre Arturo li guardava con simpatia.

IL DIVANO (DIVA NO) Racconto per bambini

Sulla piazza centrale di una nordica capitale europea si trovava, ormai da due generazioni, un grazioso hotel gestito da un'affiatata famiglia. Nel corso del tempo, l'albergo era stato ristrutturato e ampliato, fino ad accogliere cinquantatré camere, tra le quali tre suites con una magnifica vista panoramica su tutta la città. Nonostante l'hotel desse alloggio a molti personaggi famosi, aveva mantenuto un carattere semplice e familiare, riconoscibile dagli sguardi sinceri dei proprietari, dalla personalizzazione delle stanze e dall'arredo sobrio e funzionale. In uno degli spazi comuni, precisamente nell'angolo di un salotto accanto alla reception, se ne stava tranquillo e silenzioso un divano a due posti di stoffa rossa, pronto ad ospitare qualche turista. Erano passati gli anni, alle stagioni calde erano succedute quelle fredde e centinaia di viaggiatori avevano soggiornato su quella piazza, ma il divano rosso era rimasto al suo posto. Fermo immobile sulle sue quattro zampe di legno chiaro, osservava attento e curioso gli spostamenti della gente: giovani uomini d'affari immersi nei loro pensieri, allegre famiglie cariche di valigie, eleganti signore dall'aria affascinante e celebrità del cinema in vacanza. Proprio una di queste attrici di soap-opera, avvolta in un lussuoso cappotto di pelliccia argentata, sopraelevata su vertiginosi tacchi a spillo ed oscurata da mostruosi occhiali da sole, entrò rumorosamente nell'albergo con una schiera di facchini al seguito. L'attricetta non voleva assolutamente passare inosservata e pretendeva tutte le possibili attenzioni da parte del personale alberghiero al completo. << La valigia, il trolley, il bagaglio a mano, il beauty-case e la borsetta! >> richiamava all'ordine i suoi umili servitori. << Ogni oggetto deve essere sistemato con cura, mi raccomando! >>. La ridicola scena non era sfuggita alla vista del divano che, adesso, notava l'ingresso di un'anziana signora, stanca dopo una lunga camminata. Mentre la donna affaticata si stava dirigendo lentamente verso il divano a due posti, l'appariscente attrice la volle anticipare con un astuto passo felino. Era giunto il momento della scelta: il divano avrebbe dovuto prendere una decisione, dato che già un turista inglese vi stava seduto a leggere un giornale. << La diva no! >> esordì lasciando vibrare in alto due zampe laterali. << La diva no! Non è giusto far sedere una donna così arrogante, quando invece una signora, una vera signora, ha davvero bisogno di riposarsi! >>. Il divano rosso continuò ad agitare il fianco sinistro, mentre anche il turista che ne occupava la metà annuiva con la testa, avendo compreso un messaggio universale come quello. L'attrice, non potendo sedersi sul divano, rimase talmente incredula e imbarazzata che non riuscì a sillabare alcuna parola; fu in grado soltanto di voltare i tacchi e di tornarsene indispettita da dove era venuta, dimenticandosi il suo intero guardaroba. Il divano (diva no), che da quella volta e da quella storia fantastica ha preso il suo nome perché non ha voluto ospitare la diva, fu ben felice di far accomodare l'anziana signora, grata per il suo nobile gesto.