lunedì 18 marzo 2013

IL PALLONE (LA PALLA ONE) Racconto per bambini

Vedendo rotolare una volta delle spighe di grano appena tagliate e mosse dal vento, un bambino chiese al suo babbo: << Babbo, che gioco è quello? >>. Rispose il babbo, felice di tornare anche lui bambino: << E' il gioco delle palle di grano che si rincorrono nell'aria. >> << Che bello! >> esclamò affascinato il piccolo Leonardo, che aveva sbarrato gli occhietti dall'emozione ed osservava curioso le colline di fronte. << Mi spieghi come funziona questo gioco? Non l'avevo mai visto prima! >>. << Funziona in questo modo: il vento Eolo, che sta nell'aria, quando soffia dalla sua grande bocca forma delle onde che muovono le cose più leggere. E' per questo che, quando c'è vento, si vedono oscillare i rami e le chiome degli alberi, le nuvole camminano, le schiume del mare diventano cavalloni, i cappelli possono volare dalla testa delle persone e... >> << E le palle di grano si rincorrono per le colline! >> << Proprio così, Leo! >>. Le sensazioni di leggerezza e di beatitudine che l'immagine delle spighe di grano spinte dal vento avevano lasciato nella mente e nei cuori di Leonardo e del suo babbo, si ripresentarono come gradite sorprese alcuni giorni dopo. Nella sua cameretta, infatti, Leo stava disegnando allegramente delle linee curve con la matita celeste, per rappresentare le onde del vento, e poi tanti cerchi gialli su uno sfondo di colore verde prato, ad indicare il paesaggio che aveva visto. Il babbo, per valorizzare e soffermare anche lui il ricordo di quell'esperienza di contemplazione della bellezza della natura nello scambio di affetto col figlio, decise di regalare al suo piccolo uomo un pallone: un pallone di spugna colorato, che sarebbe diventato il suo primo pallone (palla one). Lasciò scivolare delicatamente il giocattolo nella stanza di Leonardo che, appena concluso il suo disegno, notò con la coda dell'occhio una palla che stava raggiungendo le sue scarpette n. 18. << Che bello! Che bello! >> si stupì il bambino con urla di gioia, incredulo nel vedersi accanto il disegno materializzato, l'idea della collina col grano concretizzata e la fantasia trasformata in realtà, grazie alla magia. Sollevò con cura la morbida palla, che gli sorrideva con simpatia ad ogni piegatura delle sue manine, e si rivolse al babbo carico di amore e tenerezza: << Grazie, babbo! Ora possiamo giocare anche noi al gioco delle palle di grano che si rincorrono nell'aria! >> << Eh eh, sì, ci divertiremo insieme! >> gli rispose il babbo, prendendolo in braccio. Sceso dalla giostra dei desideri e ritornato sulla piattaforma terrestre, Leonardo cominciò a giocare con la nuova palla, lanciandola verso il babbo e facendola roteare vorticosamente in alto. Quando, anche più grandicello, Leonardo vedeva andare in scena il vento e respirava la sua aria fresca, ripensava alla sua prima palla da gioco: il pallone (palla one) che per lui era la palla number one, n. 1, che custodiva ancora come un grande tesoro.

giovedì 7 marzo 2013

L'ARANCIO (A RANCIO) Racconto per bambini

Un giorno, in una modesta casa di campagna, sopra ad un tavolo di cucina rettangolare ricoperto da una tovaglia a quadretti bianchi e rossi, venne posto dalla signora Gina un cesto di frutta. Erano passate da poco le dieci di mattina, quando un lucente raggio di sole illuminò con una leggiadra carezza di saluto il cestello intrecciato di vimini contenente la frutta di stagione. L'inverno, quell'anno, aveva portato il freddo della neve e l'umidità della pioggia, ma aveva anche maturato i semi delle piante, regalando scorte di vitamine a volontà. Arance, mele, pere, castagne, uva, mandarini e mandaranci, insieme a banane e kiwi provenienti dalle terre tropicali, riempivano di forme e colori il centro di quella tavola, che sembrava rinnovata in un trionfo ridondante di gradevoli profumi. Solo a guardare quella composizione, si veniva attratti dalla rotondità dei volumi, dalla lucidità delle bucce o dalla loro porosità, in una mescolanza di gialli, arancioni, verdi e marroni, più o meno maturi, che erano un piacere per la vista, come assistere ad uno spettacolo della natura. La signora Gina, nonna dolcissima, esperta massaia e abile ricamatrice, era tornata soddisfatta dal mercato di prodotti genuini del suo paesello, con una bella spesa che avrebbe rallegrato anche i suoi nipotini. Con energica vitalità e sana costituzione, derivate in gran parte dalle corrette abitudini alimentari grazie alle quali era cresciuta per ottantadue anni, scelse la frutta meno acerba e la lavò con cura sotto un getto corrente d'acqua fresca. Avrebbe così preparato una buona merenda per i suoi pargoli e riuscì nell'intento, sbucciando alcune varietà di frutta, tagliandole a pezzetti ed aggiungendo gocce di limone, per ottenere una gustosa macedonia, decorata con spicchi di kiwi disposti a girandola. Con tre grosse arance, poi, ottenne delle dolci spremute dissetanti, ciascuna con una colorazione diversa: arancione classico del sole al tramonto, arancio medio con venature di giallo ocra e rosso carminio come i tetti delle case dipinti dai bambini. Come quando era piccola, Gina continuava a vivere con curioso entusiasmo la sorpresa di scoprire la tinta effettiva di ogni succo d'arancia, simile agli altri ma sempre differente, al momento che veniva versato nel bicchiere di vetro trasparente. Con il resto della frutta fresca, l'amabile nonnina decise di frullare le polpe insieme al latte di mucca, creando un nutriente succo, da far invidia alle bibite gasate, tutte bollicine e conservanti, che se ne stanno confezionate in rigide lattine metalliche. L'arrivo festante dei nipoti, venne accolto con gioia da Gina, che li abbracciò e li baciò teneramente, invitandoli a rifocillarsi in cucina. I bimbi, dopo aver corso e giocato tra i prati, rimasero affascinati da tutta quella frutta sulla tavola e si riversarono subito sulle invitanti spremute d'arancia. La nonna, assistendo compiaciuta alla scena, si avvicinò loro e raccontò la storia dell'arancio: Dovete sapere che state bevendo il nettare prezioso di un albero dai fiori bianchi molto profumati, dalle foglie ovali e dai frutti sferici che conosciamo. Se vi piacciono così tanto le arance e se questo frutto fa tanto bene alla nostra salute perché ricco di vitamina C, è merito del suo albero che, nel 1500, i Portoghesi importarono dall'Asia. – Sono buonissime queste spremute! Ma come mai, nonna, sono di colori diversi? – Perché esistono diverse varietà di arance e le principali in Italia sono: il biondo comune, quello cioè dal succo giallo-arancione, e arancia moro, dalle tonalità più scure, rossastre. – Come per le persone, quindi: siamo tutti uomini, ma ci sono gli europei, gli africani, i cinesi... – Esattamente, Luca, proprio così! Ed ora vi spiego anche perché, secondo me, l'albero delle arance si chiama così: perché i suoi frutti nutrono come un rancio (a rancio), ossia come un pranzo collettivo. – Infatti noi stiamo facendo una merenda tutti insieme! – esclamò Luca. Sì, ma c'è così tanto da mangiare, tra spicchi di frutta, macedonia e frullati, che sembra più un pranzo! – intervennero in coro gli altri due cugini. La prossima volta vi preparerò anche degli squisiti canditi e delle appetitose marmellate da spalmare sul pane caldo. Siete contenti? – Sìììì! Allora è proprio importante l'arancio, perché ha pensato anche alla nostra crescita. – affermò Matteo. E la sua storia continuerà la prossima volta che torniamo qua. Vero, nonna? – domandò Fabio. Certo, vi racconterò un'altra interessante novella sulla frutta! – sorrise loro nonna Gina.

martedì 26 febbraio 2013

IL SOLE (IL S...OLE' !) Racconto per bambini

Nella preistoria del mondo, prima delle nostre vite e del nostro universo, tutto era buio. L'oscurità totale della continua notte era il Nulla, che se ne stava da solo ad occhi chiusi, fermo immobile, senza combinare niente, vuoto come un secchio senz'acqua e freddo come un blocco di ghiaccio polare. Tenebre e mistero vagavano inquieti in un tempo senza misura ed in uno spazio senza luoghi, perché tutto era indefinito: non esistevano cause, azioni e conseguenze che potessero cambiare l'unica situazione di stasi in un letargo avvolgente. Miliardi prima della storia del mondo, un enorme telo grezzo di un nero opaco ricopriva lo scenario di uno spettacolo che stava oltre, che si sarebbe dovuto rappresentare sul palcoscenico di un antico teatro, diroccato dai tempi dei tempi. In mezzo a colonne di pietra, resti di mura e rovine abbandonate, si cominciò ad alzare un vento che faceva muovere il tendaggio in ampi meandri come il corso di un fiume, creando una serie di virgole in una linea di curve ondulanti. Quando il vento aumentò la sua spinta in vigorose mosse, le colonne oscillarono, alcune crepe si aprirono in fessure di polvere grigia ed un rombo acuto come una saetta tuonò dalle profonde cavità fino a squarciare il mantello scuro. Qualcuno, dalla regia, lanciò l'allarme di un pericolo mai prima accaduto, ma soltanto simulato con prove generali, per la frana in corso e lo sgretolamento del vecchio scenario. Dopo tutta quella grande attesa durata millenni, come dopo un travaglioso parto elaborato, era finalmente arrivato il momento di assistere alla rappresentazione teatrale! Da dietro le quinte si svelò il bagliore di una fievole luce che, passo dopo passo, condusse sul palco una figura umana piccola ed esile: era un anziano signore, che di mestiere svolgeva il falegname, illuminato da una candela che teneva in mano. I capelli bianchi come la neve ed il volto stanco segnato da evidenti rughe raccontavano la storia dei tanti anni e la fatica compiuta da quell'uomo che, assiduamente, aveva lavorato con passione per costruire le creature vegetali, animali ed umane che avrebbero animato quell'ambiente universale. Il saggio artefice aveva disegnato, misurato, modellato, scolpito, intagliato e colorato ogni personaggio della commedia, dipingendo poi le scenografie di contesto, con tutti i fiumi, i monti, i laghi, le terre, i mari e gli oceani. Quando il mondo venne creato, affinché tutti gli esseri acquistassero la vita, l'anziano falegname soffiò delicatamente sulla fiamma della candela che reggeva e luce fu: un'aurora radiosa illuminò tutti i personaggi dell'universo, che iniziarono a respirare, a muoversi e ad osservare, fino ad esprimere ognuno la propria personalità. La natura intorno rifletteva le tonalità intense e vivaci delle tempere e degli acquerelli distesi sui pendii delle montagne e fatti rotolare sui dolci profili delle colline, per poi tuffarli con dense pennellate nel letto di torrenti canterini. La nascita del mondo venne battezzata da un potente raggio di Sole, la più grande stella splendente nel cielo che, ora, non conosceva soltanto la notte, ma anche la magia del giorno. L'umile falegname scelse per questa stella il nome di Sole, perché da quel giorno tutte le creature, appena l'avessero visto sorgere ad Est, avrebbero esclamato con immensa gioia: “Ecco il Sole, il S...olé! Evviva, evviva, luce e vita per tutti!”.

mercoledì 6 febbraio 2013

LA PRIMAVERA (LA PRIMA VERA) Racconto per bambini

C'era una volta, neanche troppo tempo fa, un mondo nel quale esistevano ancora le mezze stagioni: Primavera e Autunno. Erano questi i mesi dell'anno dedicati alla semina dei campi, alle decisive fasi lavorative, all'omaggio della natura ed alla preparazione per il grande freddo dell'Inverno e l'estremo caldo dell'Estate. Primavera, Estate, Autunno e Inverno, ognuno vestito di fiori, raggi solari, foglie rossastre e fiocchi di neve, si rincorrevano felici in rotolanti capriole, passandosi il testimone della stagione eletta, in base ai consigli della loro madre Natura. Niente era lasciato al caso o soggetto all'azione di malvagie creature, poiché tutto rispondeva a precise leggi naturali che dovevano servire per il benessere universale. Ecco perché erano nate per prime le due sorelle Primavera ed Estate: per dare luce e colore al mondo; seguivano poi i fratelli Autunno e Inverno, che rinfrescavano l'aria e richiamavano uomini e animali alle attività produttive al coperto. Se il sole risplendeva faraonico nelle stagioni femminili, la luna lo sostituiva durante il periodo di controllo maschile, alternando in maniera armonica la sinfonia di chiaro-scuri, di luci ed ombre, di nitidezza ed opacità, ma accontentando sempre i viaggiatori diurni e notturni. Come la vita sulla terra seguiva i cicli stagionali, rispettando i giusti tempi per nascere, crescere, maturare ed appassire, così la volta celeste conferiva sicurezza ai sogni degli umani, accendendosi ogni volta di nuove stelle e costellazioni, con le quali anche i bambini potevano abbandonarsi a fantasticare. Quando madre Natura osservava i comportamenti dei propri figli, riconosceva i loro meriti, frutto di pacifica convivenza, ma pure i loro sbagli, quando ad esempio litigavano per un gioco e, dalla rabbia, scagliavano fulmini e saette dall'alto delle nuvole. Tutto era cominciato con l'arrivo della Primavera. Madre Natura e padre Cielo le avevano assegnato questo nome perché prevedevano che la loro primogenita sarebbe diventata la prima vera stagione dell'anno, regalando gioia ed amore al mondo. E così fu: la nascita di Primavera allontanò le gelide tenebre del Nord con tiepidi bagliori di sole, ricoprì di fiori profumati le distese brulle dei prati, diffuse nell'aere allegre melodie di augelli danzanti e inondò di energia rigenerante le correnti spumose dei mari, concedendo loro la forza di correre come cavalli al vento. Primavera era tutta rosa, dalla testa ai piedi, dipinta di un colore che oggi è difficile ritrovare, se non nelle coccarde appese ai portoni per segnalare le nascite delle bambine. I fumi delle industrie, gli scarichi delle automobili, i gas inquinanti delle grandi città hanno pian piano cancellato il rosa dei sorrisi sinceri, dei palloncini sollevati dalla leggerezza, dei delicati petali di rose, degli autentici dipinti rinascimentali e degli sfumati tramonti all'orizzonte degli innamorati... Il grigio dei palazzi, delle strade, delle ciminiere, dei palazzi, delle strade ed ancora delle ciminiere ha ricoperto brutalmente le tinte tenui delle stagioni primaverili di un tempo, annullando anche l'altra stagione intermedia, per rompere l'equilibrio creato da madre Natura e dividere l'influenza del clima soltanto tra gli opposti fratelli: Estate e Inverno. Questa storia intende far riflettere gli uomini sul rispetto del naturale ciclo delle stagioni, provando a ridurre e a modificare le costruzioni artificiali che danneggiano l'ambiente.

mercoledì 9 gennaio 2013

IL MASSAGGIO (MA SAGGIO) Racconto per bambini

C'era una volta, in un tempo lontano, un fatato mondo sospeso nell'aria che era abitato da elfi dei monti, gnomi del sottosuolo, ninfe dei boschi, pargoli delle valli e cavalli alati. Le casette dei piccoli e morbidi villaggi erano dipinte di tenui colori, in armonia con i prati sempre fioriti a primavera, con le stradine snodate disegnate col gesso e con le nuvole d'ovatta affacciate di lato al sole a far capolino. Per le rondini ed i gabbiani che volavano da quelle parti, era un piacere soffermarsi in quel mondo delicato e costruirsi il nido su uno di quei magnifici alberi frondosi, dal tronco robusto e dai rami pronti ad accoglierti in calorosi abbracci. La vita, in quel borgo tra i cieli, scorreva lieta e tranquilla, scandita dalle avventurose esplorazioni degli elfi sulle cime innevate, dai creativi lavori d'artigianato dei laboriosi gnomi, dai canti intonati delle ridenti ninfe vestite di fiori, dai giochi divertenti dei bambini in corsa sull'erba e dai voli pindarici tracciati dai cavalli alati, che regalavano panorami spettacolari. Un giorno, appena la luna lasciò il posto al fratello sole per governare l'orizzonte, tutti gli abitanti dei villaggi si ritrovarono sulla piazza principale, che somigliava alle agorà greche, per ragionare sui loro progetti futuri. La famiglia degli gnomi si propose di preparare dei salubri decotti con le erbe raccolte d'estate, il gruppo degli elfi stabilì di documentare con racconti e disegni le proprie scalate eroiche, il branco di cavalli alati decise di ampliare i propri viaggi astrali, le ninfe intendevano omaggiare la nuova stagione con balletti classici ed i bambinelli volevano sperimentare la novità di lavarsi all'aperto anche d'inverno. Su quest'ultima proposta, alcuni dei presenti lasciarono intuire che sarebbe bastato uscire dalle abitazioni mentre pioveva. I bambini, però, avevano pensato a qualcosa di più: ad un grande parco acquatico che collegasse, con scivoli, ponticelli e fontane, le cascate d'acqua ai laghetti disseminati per il mondo sospeso. Il tutto riempito da acqua calda, non piovana. La determinazione e la simpatia dei pargoli coinvolse tutti, animati di entusiasmo e collaborazione, ad attivarsi per realizzare quel proposito. Come nelle più belle fiabe che si rispettino, ognuno riuscì a fornire il proprio contributo per quell'impresa, a seconda delle proprie specifiche capacità: chi progettava le vasche, chi portava i mattoni, chi predisponeva gli scoli dell'acqua, chi si dava il cambio nei lavori manuali, chi lavorava d'intelletto per equilibrare il sistema, che pensava al riciclo natuale della pioggia e chi realizzava giochi con le bolle di sapone. Non erano stati stabiliti turni particolari, né orari e regolamenti vari, ma quella rete produttiva funzionava a meraviglia, tanto che in poco tempo il parco prese forma, senza invadere il resto del mondo. Per festeggiare l'evento e ringraziare tutti per l'impegno, venne inaugurato il parco acquatico con un tuffo collettivo ed un inno alla gioia, mentre le piante della rigogliosa vegetazione circostante agitavano al vento le loro chiome, come fossero bandiere di buon augurio. Schizzi d'acqua, battiti di piedi e di mani, nuotate, capovolte e rapide immersioni furono i protagonisti di quella festa, che assunse un ritmo più vivace quando alcuni bambini, dalla frenesia di esternare la felicità col moto dei loro corpi, cominciarono ad azionare un meccanismo che faceva muovere l'acqua. Per tutti, quella fu un'inaspettata e gradita sorpresa, che si rivelò una preziosa fonte di benessere, un massaggio rigenerante di mente e spirito, una terapia d'urto contro i cattivi pensieri che transitavano a distanza nel cielo sotto forma di nuvole nere. L'idromassaggio, ideato da un anziano dei villaggi che volle custodire nel segreto la propria invenzione, tramandando alle generazioni future il mistero di un “anonimo”, consacrò a regno delle terme quel fatato mondo sospeso nell'aria. Ancora oggi, quando piove, i bambini escono da casa, alzano gli occhi al cielo e giocano con le gocce di pioggia che massaggiano le loro teste, sorridendo al ricordo della storia sul massaggio ed all'origine del suo nome: “ma saggio”, perché ogni massaggio è saggio per l'azione di benessere che regala e perché è frutto dell'idea di un vecchio saggio.

sabato 5 gennaio 2013

GLI OCCHIALI (GLI OCCHI ALI) Racconto per bambini

C'era una volta, in un paesino di campagna, una bambina chiamata Melania che frequentava il primo anno di scuola elementare. Il grembiule bianco con il fiocco rosa mettevano in risalto il suo viso rotondo sul quale si aprivano un sorriso contagioso e due occhietti vivaci, incorniciati da dei capelli neri che le cadevano a caschetto sulle guanciotte paffute. Per Melania era un piacere andare a scuola: si svegliava ogni mattina pronta e scattante senza bisogno dei richiami della mamma o del suono della sveglia, consumava soddisfatta la sua tazza di latte e biscotti, si lavava e si vestiva velocemente, per poi raggiungere a piedi l'edificio a mattoncini che era la sua nuova scuola. Durante il breve viaggio di andata, come pure in quello di ritorno, Melania era accompagnata dalla brezza del venticello, dal cinguettio di graziosi uccellini, dal profumo della terra e dallo zainetto colorato che portava a spalle, mentre l'erba dei campi ed i fiori dai petali delicati la salutavano. Una mattina, nell'ora di Italiano, Melania si accorse di non riuscire a leggere troppo bene le lettere che la maestra aveva scritto sulla lavagna. Le venne così da socchiudere gli occhi, storcere la bocca ed allungare il collo verso quei segni opachi, che decifrava sempre più come alfabeto arabo offuscato da banchi di nebbia. Avvertita la difficoltà, anche se con un po' di vergogna dovuta alla sua timidezza, l'alunna alzò la mano e disse: Maestra, da qua non vedo tanto. – Hai fatto bene a dirmelo, Melania. Dovrai sederti, allora, ad un banco in prima fila. Qualcun altro ha problemi? – chiese la maestra al resto della classe. Dopo cenni di negazione con la testa da parte degli altri bambini, Melania prese posto in un banco proprio davanti alla lavagna, facendo a cambio con un compagno e ritornando così a leggere più chiaramente quelle parole che, ora, erano tornate a far parte dell'alfabeto della lingua italiana. Tornata a casa, la scolaretta raccontò alla mamma ed al babbo come aveva trascorso la mattinata a scuola, soffermandosi sul cambio di posto che aveva giovato alla sua vista, avendola resa meno affaticata e meno lenta nella lettura e nella scrittura. I genitori, compresa la necessità di una visita oculistica per la figlia, a conferma di altre simili situazioni, fissarono un appuntamento con un oculista, che segnalò una miopia in Melania e le prescrisse l'uso degli occhiali. Superata la prova delle lenti, ottenuta la loro montatura e provato per la prima volta il sostegno visivo sul viso, Melania restò per un po' immobile come una statuina di gesso, per rendersi conto che quella bambina che vedeva allo specchio era sempre lei, la stessa di quando non aveva gli occhiali. Doveva capire, a sei anni d'età, che gli occhiali le avrebbero fatto bene alla vista, le avrebbero curato gli occhi, anche se le trasmettevano un'immagine nella quale non si riconosceva, al momento, perché aveva come l'impressione di trovarsi di fronte a un'altra bimba, con due cerchietti verdi intorno a grandi occhi. Quegli occhiali da vista le cambiavano l'espressione del volto e, portandoli giorno dopo giorno, Melania si accorse che le erano proprio d'aiuto: la riparavano dal forte vento, la proteggevano dai raggi del sole, difendevano la sua fanciullezza dagli attacchi degli adulti e le permettevano di vedere meglio il mondo che la circondava, per come era veramente. Riusciva quindi a distinguere con sicurezza le sfumature sulle ali degli uccellini, notava le coccinelle rosse ed altri insetti che si posavano sui fili d'erba, come pure le sorprendenti varietà di fiori, alle quali se ne sarebbero aggiunte molte altre nel famoso quadro di Botticelli intitolato “La primavera”, che avrebbe ammirato da ragazzina. Grazie agli occhiali, Melania faceva funzionare completamente i suoi occhi, come se avesse tolto lo sporco dai vetri di una finestra affacciata sul mondo, sulla vita, proiettata verso il suo futuro. Ora, non solo vedeva bene dovunque: a scuola, per strada, in giardino, in casa, in piscina, al mare, in collina ed in montagna; aveva anche potenziato la capacità di conoscere meglio tutte le cose. Ecco perché gli occhiali (occhi ali) si chiamano così: perché mettono agli occhi le ali, quelle che danno la libertà di volare lontano dalle miopie dell'ignoranza e della cattiveria, che invece spingono la terra sempre più in basso.