giovedì 27 settembre 2012

IL PIANISTA GIOVANNI ALLEVI

Due mesi fa ho assistito con grande piacere al concerto del pianista Giovanni Allevi in Piazza del Duomo a S. Miniato. La cornice architettonica e paesaggistica non poteva essere più adatta di quella, che racchiudeva in un tenero abbraccio le sensibili anime dei presenti e le deliziava con la velata luce della luna affacciata tra il campanile del duomo e la cima della Rocca di Federico II, davanti ad un panorama suggestivo, in attesa anch'esso di ascoltare le prime note del pianista. Come un eclettico folletto in punta di piedi, il meastro Allevi si è rivolto ai presenti con un modesto inchino e con un cordiale saluto introduttivo, presentando il primo brano: Strange love, che non aveva bisogno di altre parole di supporto, perché la musica da sola era già molto esplicativa. Al termine di questo brano, come pure di quelli a seguire e dei vari avvii, Giovanni Allevi, che si mostrava in una veste sempre più spontanea e confidenziale, ironizzando simpaticamente col pubblico, è riuscito a catturare progressivamente la mia attenzione, grazie alla delicata ma anche vigorosa energia musicale che infondeva sui tasti del pianoforte e che si diffondeva nell'aere. Come al tempo degli illustri poeti medievali Dante e Petrarca, in quel contesto semi-divino l'aria opaca dell'età contemporanea segnata dai fumi industriali veniva depurata come per magia da quelle note singole e collettive, che formavano accordi d'equilibrio, gradevoli melodie ed un concerto di mani, teste e cuori, tutti coinvolti in una magistrale filosofia sinfonica. Questo è ciò che il pianista Allevi ha trasmesso, realizzando con volontà ed impegno l'idea di suonare una musica classica contemporanea. Sulla scia di quell'esperienza e per merito della bravura dello stesso Allevi, mi sento ancora avvolta dalle ali di quei testi musicali che ascolto di nuovo e che mi riecheggiano nella mente, tanto da aver deciso di frequentare un corso di pianoforte. Domani inizio con la prima lezione.

mercoledì 19 settembre 2012

QUEST' ETERNO TEMPO

Hic et nunc infinitus est. Stretta nel tuo abbraccio: mi doni gioia piena luce eterna amore senza confini. Le nostre mani: delicate, creative e forti intrecciate insieme, come i nostri capelli, tra carezze e sostegni. Il tuo sorriso: bagliore dell'anima sole luminoso che non tramonta mai. Mi fai volare: leggera e libera come albero mosso dal vento, ma sempre ben radicato alla terra dei nostri cuori in quest'eterno tempo.

martedì 11 settembre 2012

LA BICICLETTA (LA BICI CLETTA) Racconto per bambini

C'era una volta, e c'è ancora oggi, una bici di nome Cletta. Cletta, che è un bel mezzo di trasporto ecologico, è vestita con una vernice rossa, ha grandi gambe circolari che si muovono come ruote, un cestino di paglia che la ripara dal sole ed un campanello speciale che ricorda il suono dei campanacci delle mucche quando sono al pascolo in montagna. La casa di Cletta è un fresco garage al piano terra di una palazzina a cinque piani, dove lei convive felice e contenta insieme a cassette degli attrezzi, cassapanche arrugginite, casse d'acqua, damigiane di vino a bassa gradazione, valigie di varie misure, ombrelli da pioggia e ombrelloni da mare, recenti paia di sci e libri e quaderni più vecchi di lei. Cletta si rifugia nella sua casa quando fuori è molto freddo, quando decide di dormire perché ha sonno e quando torna stanca dalle pedalate, così parla con i suoi amici di storia, di viaggi, di sport, di feste, di studio, di costruzioni e di tanto altro, raccontando fatti del mondo ed esperienze vissute. Ogni volta che Cletta parla, sposta il manubrio per far capire di essere d'accordo o no e suona il campanello in squillanti: din don, din don, din don! La maggior parte del tempo Cletta lo trascorre uscendo all'aria aperta a passeggiare. Quando era una giovane biciclettina, di color rosa pallido, ospitava sulla sella i bambini del quartiere che volevano imparare a pedalare, perciò andava piano e aveva sempre i freni oliati, pronti all'uso. I pargoletti, dopo averla guardata con stupore, la abbracciavano per le manopole, venivano aiutati a posizionarvisi dai più grandi e, da loro sostenuti, si sentivano tranquilli, sicuri e protetti, su quella bici che, cullandoli, li guidava nei loro primi percorsi ciclistici. Cresciuta, Cletta si era irrobustita, aveva tonificato i cerchioni delle ruote, rinforzato il cestino al manubrio ed assunto una costante abbronzatura che l'aveva colorata con tonalità di rosa acceso, regalandole un aspetto davvero gradevole. Era in quel periodo che Cletta pedalava velocemente, scendendo agile per i viottoli di campagna e risalendo sicura gli argini dei fiumi, accarezzata dalla brezza del vento ed accompagnata dagli uccellini dei boschi e dal volo delicato di leggiadre farfalle. Fu allora che cominciò a correre le gare: corse amatoriali, di esordienti, individuali a cronometro e di gruppo, locali, provinciali e regionali, fino a quelle nazionali, partecipando anche al Giro d'Italia che richiamava tanta gente a tifare per la maglia rosa. Cletta, in tutte le sue gare, vinse soltanto una volta e si aggiudicò qualche raro piazzamento, ma di certo non diminuì la sua voglia di correre, perché lei gareggiava per divertirsi e per fare amicizia con altre biciclette. Adesso che è diventata vecchiotta, con l'intelaiatura debole, i freni arrugginiti, il sellino instabile e le ruote meno potenti, non ha perso però la voglia di pedalare: si può trovare lungo le piste ciclabili, tra le strade vicino alla sua palazzina oppure appoggiata alla panchina di un giardino, intenta a leggere o a raccogliere frutti e fiori da mettere nel cestino. Oggi i bambini del quartiere, come facevano i loro nonni tanti anni fa, continuano ad imparare a pedalare con Cletta che, con affetto e devozione, dimostra ancora di saperli cullare e di avviarli sulle strade maestre della vita. Questo racconto spiega la storia di una bicicletta che, anche se spesso viene considerata un semplice oggetto, nasconde però un'anima, insegnando a rispettare l'ambiente, a coltivare le amicizie, a salvaguardare la libertà e a capire quanto una persona anziana possa essere ancora utile per la società.