giovedì 21 gennaio 2010

PIU' CALCIATORI, MENO INTELLETTUALI

Il rapporto tra il numero di calciatori ed il numero di intellettuali nel nostro Paese è ormai da parecchio tempo inversamente proporzionale, nel senso che aumentano i primi e diminuiscono i secondi.
E' evidente come la popolarità del calcio sia in continua crescita: moltissime persone giocano a calcio, a livello agonistico o amatoriale, in milioni vanno regolarmente allo stadio per seguire la squadra del cuore ed altrettanti guardano le partite in TV. Se domandiamo ad alunni di una scuola dell'obbligo in quanti praticano calcio, una netta maggioranza risponderà in modo affermativo; se sfogliamo un quotidiano qualsiasi, gli articoli e le pagine dedicate allo sport nazionale per eccellenza renderanno insignificanti gli altri sport; se attraversiamo anche una piccola località di campagna, avvisteremo un campo da calcio di tutto rispetto, con le sue delimitazioni, le sue reti e lo spazio per la tribuna. Pullulano inoltre, con una ricorrenza pressochè giornaliera e su più canali insieme, le trasmissioni televisive centrate unicamente su questa attività sportiva, dove calciatori, telecronisti, opinionisti e passanti commentano le partite, i giocatori e le classifiche scrupolosamente aggiornate. A tal proposito, mi ha colpito di recente il discorso del sindaco di Firenze che, in occasione di un convegno pubblico, ha sostenuto che tifare per la squadra viola, la Fiorentina, è la cosa più bella che possa capitare ad un ragazzo............
In nome del caro dio Calcio si intavolano maestosi dibattiti che si prolungano per ore ed ore, con accuse e difese, come davanti ad un tribunale, per inveire contro i tifosi avversari e per sostenere le prodezze della propria squadra – da veri fans incalliti – .
Di calcio si vive, quindi, come argomento d'interesse pubblico generale, del quale si parla con pertinenza, conoscenza dettagliata e proprietà di linguaggio, sicuri di ricordarsi alla perfezione la combinazione delle schedine giocate, le tecniche e le pseudo-tecniche calcistiche vittoriose, le posizioni delle squadre in classifica, i goals segnati e quelli che potevano essere segnati, i falli di gioco visti e non visti in ogni match, il nome di tutti i giocatori, di tutti gli allenatori e di tutti gli arbitri (esistenti sulla faccia della terra!). Con il calcio si vive: per il traboccante investimento di soldi in scommesse, giocatori, allenatori e presidenti di squadra; per gli stipendi da capogiro che percepiscono i calciatori; per i generosi finanziamenti da parte di azionisti, industriali, sponsor e abbonati.
Un'ultima news sul mondo calcistico informa che, a breve, i campi da calcio saranno ancora più verdi perchè, per la buona tenuta dei terreni di gioco, partirà un corso di formazione, permanente e specifica, per avere un maggior numero di professionisti specializzati in progettazione e cura dei manti erbosi, in tutti gli stadi italiani.
Rispetto all'hollywoodiano panorama calcistico, che si delinea in maniera rapida e progressiva, almeno in casa italiana, riconosco di aver mantenuto una visione tradizionalistica e forse per tanti obsoleta, ossia di reputare semplicemente questo sport un gioco in cui due squadre corrono su un prato, inseguendo un pallone, per fare gol, e di avvertire uno spirito nazionalistico soltanto in occasione della competizione dei Mondiali. Mi innervosisce sapere quanto è vasta la risonanza del calcio, quanto viene sbandierato l'ottuso atteggiamento adottato dalla massa e quanto sono sopravvalutati, sia il ruolo sociale, sia la retribuzione economica di un giocatore professionista.
Allo stesso modo, mi innervosisce constatare quanto poco si investa in cultura, quanto spesso si chiudano a chiave le porte per un futuro di conoscenza e di coscienza, quanto vada a scomparire, lentamente ma inesorabilmente, la classe degli intellettuali. Si profila davanti ai nostri occhi uno scenario di discariche al posto delle scuole, di ignoranza al posto della saggezza, di accecanti trasmissioni televisive al posto dei cari e vecchi libri, di economisti in doppiopetto scuro al posto degli insegnanti coi maglioni di lana.
Ad oggi, nell'ambito del sapere, regna sovrana la precarietà: una scuola su due in Italia non è costruita secondo le norme di sicurezza, una fila interminabile di docenti aspetta da decenni di essere nominata in ruolo, l'avvenire di bravi studenti e ricercatori è compromesso, e molti incarichi basati sulla divulgazione di sana cultura sono a tempo determinato. Si respira quindi un clima di grave crisi culturale, perchè vengono svalutati i ruoli educativi, perchè troppe volte non si organizzano con serietà e criticità le attività formative, perchè non si investe quasi più in capitale umano, in cervelli ed in ragazzi che devono crescere per capire come dovrebbe funzionare il mondo.
I nuovi “intellettuali” che occupano le prime pagine delle riviste più in voga e quelli che sono sotto i riflettori di ampi studi televisivi, non sono certo maestri di cultura, trasmettitori di validi insegnamenti, scrittori, artisti o musicisti virtuosi e creativi, ma quasi sempre “facce da copertina” che improvvisano una parte, che si calano in ruoli di attori provetti ed in opinionisti a corto di idee. Sono le soubrettes della domenica che si fingono presentatrici di eccelsi pensieri, sono le anime vagabonde dello spettacolo che intendono riportare sulla retta via i peccatori, sono gli artificiali fisici scultorei che intendono impartire lezioni di teoria, è la gente comune che si inventa tante storie per il piacere di narrare, di interrogare e di avere un briciolo di notorietà.
E noi siamo arrivati ad assimilare in maniera meccanica e dipendente false dottrine, discorsi vuoti, ragionamenti illogici, direttive casuali e repertori sconfinati di mediocri personaggi del varietà, convinti di essere degli eruditi. Imperterriti, continuiamo a dare credibilità alle magnifiche corporazioni universitarie, combattendo duramente contro proibitivi costi d'iscrizione a corsi di specializzazione, contro cavilli burocratici e contro un dilagante lassismo del senato accademico, pur di ottenere un titolo, una certificazione, una gratificazione personale, un giudizio oppure un punteggio. Andando poi a perlustrare spazi culturali pubblici, privati o misti, si deduce che le differenze tra loro sono minime, in quanto dominano uniformemente strutture rigide, ataviche, strumentalizzate e chiuse verso interventi esterni innovativi ed eterogenei.
L'ultima angosciante notizia (pubblicata stamani, 21 gennaio 2010) sul deterioramento dell'educazione collettiva italiana, riguarda il nuovo provvedimento voluto dalla maggioranza politica che prevede un passo indietro nell'obbligo di istruzione, poiché gli alunni potranno abbandonare gli studi, per andare a lavorare, già dall'età di quindici anni, vedendosi tolto il diritto ad un anno di scuola in più previsto finora.
Dove sono finiti gli intellettuali di una volta: i Calvino, i Moravia, i Pirandello, i Verga, i Manzoni, per citare soltanto autorevoli penne della letteratura italiana contemporanea? A quale indirizzo possiamo trovare un'energica classe intellettuale disposta a lottare per i propri ideali, pronta a scendere in piazza per protestare contro i regimi autoritari, compatta nel difendere la propria dignità personale e professionale, decisa ad attuare nuove riforme sociali? Tornerà, a distanza di tanti secoli, il vento fresco e rigenerante delle preziose età dell'oro, della saggezza allo stato puro, dei sommi poeti che, dall'alto della loro cultura, illuminavano le menti degli inetti?
Me lo auguro, anche se, la situazione attuale vede la convivenza di un'entità corrosiva come il “morbo del calcio” all'interno di uno scrigno regale come l'intellettualismo, che tende a fondersi in un non-sapere, cedendo in prestito un forbito patrimonio linguistico.

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