giovedì 3 settembre 2009

I BUCHI NERI

Il concetto di “buco nero” (black hole), nato di recente nell’ambito dell’astronomia, sta ad indicare, concisamente, una zona del cosmo priva di coordinate spazio-temporali, dove non esistono né riferimenti di luogo né parametri di tempo. Consiglio a tal proposito la lettura del libro di Stephen Hawking “Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo”.
Già il fatto stesso di pensare a queste zone d’ombra ci proietta in un baratro, ci fa precipitare in un vortice infinito, ci invade di mistero, di rabbia e di dubbio. Restiamo improvvisamente immobili ed impotenti di fronte alla grandezza dell’universo ed alla genesi che lo accompagna!
Dall’antichità l’uomo si è interrogato sull’origine dei fenomeni naturali, sulla nascita della propria specie ed ancor prima sulla formazione del Tutto; anche oggi sono in corso ricerche scientifiche, ma non sempre è possibile fornire risposte valide, spiegazioni dimostrabili.
Non potendo anticipare i progressi della Scienza, mi consola divagare su affascinanti teorie fantastiche e leggendarie, come quelle contenute in pagine della letteratura classica.
Secondo Ludovico Ariosto, per esempio, i buchi neri si trovano sulla luna dove si radunano tutte le cose perdute sulla terra: l’amore che svanisce, la gloria passata e la saggezza umana.
Infatti, nel canto XXXIV dell’ “Orlando furioso”, viene trovata sulla luna un’ampolla contenente il senno di Orlando che Astolfo riconsegna al proprietario impazzito. In groppa al mitologico ippogrifo, Astolfo giunge al paradiso terrestre e poi sulla luna, grazie all’aiuto di S. Giovanni evangelista. Così l’Ariosto ci presenta la scena di arrivo sul satellite:
Da l’apostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
ciò che si perde o per nostro diffetto,
o per colpa di tempo o di Fortuna:
ciò che si perde qui, là si raguna.

………

Le lacrime e i sospiri degli amanti,
l’inutil tempo che si perde a giuoco,
e l’ozio lungo d’uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
…….

e vi son tutte l’occurrenzie nostre:
sol la pazzia non v’è poca né assai;
che sta qua giù, né se ne parte mai.
………

io dico il senno: e n’era quivi un monte,
solo assai più che l’altre cose conte.

Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual più, qual men capace, atte a quell’uso.
Quella è maggior di tutte, in che del folle
signor d’Anglante era il gran senno infuso;
e fu da l’altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: “Senno d’Orlando”.

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