mercoledì 9 settembre 2009

L' EREDITA' DIMENTICATA

Ovunque il nostro sguardo si posi su opere di recente costruzione, non possiamo non notare come i tempi siano cambiati. Sono cambiate le mode, i modelli di successo, gli stili di vita, gli interessi e le maniere di relazionarsi con gli altri: è cambiata insomma la società.
E questo può risultare un fatto naturale, che segna l’evoluzione o l’involuzione spontanea di qualsiasi civiltà nel corso della storia.
Le trasformazioni moderne in atto hanno condizionato anche il modo di progettare gli spazi d’insediamento umano, dalle abitazioni agli uffici, dalle piazze ai centri commerciali, con un largo investimento economico nel mercato privato delle case, dei negozi e dei locali (di un certo svago).
I luoghi pubblici, nel senso della proprietà e dell’utenza, hanno mantenuto o addirittura ridotto la propria superficie, vedendo progressivamente svalutare la specifica funzione, ma ricevendo in cambio un distintivo, quasi un premio alla pazienza. Il sigillo di riconoscimento è rappresentato dal nuovo prodotto artistico: dall’arredamento in stile etnico alla scultura indefinibile, che fanno molto fashion!
Credo che siamo giunti ad un capolinea, sul quale la gente andrà a sbatterci la grossolana testa, se non prende provvedimenti in tempo.
E’ possibile che, per assaporare l’arte buona, vera, educatrice, ci si debba recare soltanto nei musei, creati apposta per conservare e tutelare preziosi tesori del passato?
Questi luoghi, scrigni di sapere, rischiano di rimanere purtroppo lettera morta: richiamo per pochi animi eletti, sensibili alla mano di grandi maestri, oppure tappa di una massa informe di turisti sprovveduti.

Mi pare doveroso citare una parte del discorso “E’ ancora possibile la poesia?” che il poeta Eugenio Montale tenne all’Accademia di Svezia il giorno 12 Dicembre 1975 in occasione del ricevimento del Premio Nobel per la Letteratura:
Sono qui perché ho scritto poesie: sei volumi, oltre a innumerevoli traduzioni e saggi critici. Hanno detto che è una produzione scarsa, forse supponendo che il poeta sia un produttore di mercanzie; le macchine debbono essere impiegate al massimo. Per fortuna la poesia non è una merce. Essa è una entità di cui si sa assai poco…. Per mio conto, se considero la poesia come un oggetto, ritengo ch’essa sia nata dalla necessità di aggiungere un suono vocale (parola) al martellamento delle prime musiche tribali.
……. Evidentemente le arti, tutte le arti visuali, stanno democraticizzandosi nel senso peggiore della parola. L’arte è produzione di oggetti di consumo, da usarsi e da buttarsi via in attesa di un nuovo mondo nel quale l’uomo sia riuscito a liberarsi di tutto, anche della propria coscienza.
…… Non solo la poesia, ma tutto il mondo dell’espressione artistica o sedicente tale è entrato in una crisi che è strettamente legata alla condizione umana, al nostro esistere di esseri umani, alla nostra certezza o illusione di crederci esseri privilegiati, i soli che si credono padroni della loro sorte e depositari di un destino che nessun’altra creatura vivente può vantare. Inutile dunque chiedersi quale sarà il destino delle arti. E’ come chiedersi se l’uomo di domani, di un domani magari lontanissimo, potrà risolvere le tragiche contraddizioni su cui si dibatte fin dal primo giorno della Creazione(e se di un tale giorno, che può essere un’epoca sterminata, possa ancora parlarsi).

Probabilmente le creazioni artistiche ed architettoniche di oggi vengono concepite e progettate come merci, come prodotti economici destinati ad un incurante mercato rionale che deve: accatastare gli oggetti,
catalogarli per genere,
lucidarli con oli rigeneranti,
sponsorizzarli con ogni tipo di pubblicità,
etichettarli coi curricola vaporosi dei loro artefici,
esaltarli con prezzi di vendita gonfiati,
distribuirli ad un pubblico di profani dirigenti comunali e di baroni leccati.

In conclusione, riprendendo il condiviso pensiero di Montale, si capisce che la crisi dell’arte è causa diretta della crisi della condizione umana, dell’uomo moderno che è dentro ad un tunnel buio, dimentico della civiltà ereditata dagli antichi.

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